E’ cambiato tanto, il mondo del lavoro, così tanto che definirlo una festa pare un ossimoro. Che c’è da festeggiare? Oggi la frase, “Caro/a, vado al lavoro”, dovrebbe essere sostituita da “Caro/a, scendo in trincea”. Dobbiamo adeguarci all’assenza di posto fisso, dice chi il posto fisso ce l’ha; dobbiamo accettare lavori a partita IVA senza fisso, dice chi prende il fisso assieme alle provvigioni; dobbiamo rinnegare lo statuto dei lavoratori, accettando il fatto che certi diritti non esistono più, per noi. Per altri esistono ancora. Perché in questa lotta tra poveri, dove tra i poveri ricomprendo pure gli imprenditori di piccole e medie imprese, che si barcamenano con l’indicibile peso sul groppone di un cuneo fiscale esorbitante, a fare buon viso a cattiva sorte sono solo quei pochi che la sorte ce l’hanno ancora buona. Ancorati a diritti acquisiti, privilegi atavici e a tutta una serie di normative che salvaguardano la casta e che non hanno alcuna ragion d’essere se non quella di allargare la forbice sociale. Tra questi ci sono certamente certi sindacalisti, che diventano paonazzi nei palcoscenici di mezza Italia, gridando alla scandalo. Ergendosi a paladini della classe operaia, di cui peraltro a pochi importa, quando nella realtà dei fatti camminano a braccetto con la politica. Dunque godiamoci pure questa giornata di sole, magari al concertone romano, tra ragazzetti e giovanotti che nulla sanno di questo mondo del lavoro, che cantano uniti per un giorno per il mero gusto di cazzeggiare. Tanto, poi, ognun per sé e Dio per tutti. Mors tua, vita mea. Ci sono ancora babbo e mamma a foraggiare. Ancora per poco. Perché tra esodati che vorrebbero uscire, e disperati che vorrebbero entrare, resta solo la terra di mezzo. Di quelli che dall’INPS, tra venti o trent’anni, riceveranno solo una cartolina d’auguri con su scritto “ATTACCATI AL CAZZO”. Buon I Maggio.