Latest Entries »

LA MIA OPINIONE SUL JOBS ACT

Negli ultimi mesi ho sentito tutto ed il contrario di tutto sulla riforma italiana del mercato del lavoro. Ai detrattori delle misure intraprese dal Governo Renzi, si sono contrapposti gli entusiastici, che hanno visto nel jobs act la panacea di tutti i mali. Al di là delle opinioni meramente politiche, a contare sono i fatti, e se è pur vero che il jobs act è un’effettiva riduzione delle tutele dei lavoratori, è altrettanto vero che ogni provvedimento va contestualizzato e ricondotto al tempo in cui viene adottato. E’ difficile parlare di minor tutela per chi di tutele non ha mai sentito parlare. Mi spiego meglio: è certamente preferibile un contratto a tutele crescenti in luogo di un contratto a tempo determinato o, ancor peggio, del c.d. lavoro sommerso. Se poi il paragone viene fatto tra un contratto a tempo indeterminato “vecchio stile” e l’attuale contratto a tutele crescenti è chiaro che le cose cambiano. E’ indubbio infatti che con il jobs act il datore di lavoro ha la possibilità di monetizzare preventivamente la condanna inflitta dal giudice in caso di licenziamento ingiustificato del dipendente. Conseguentemente l’imprenditore è più libero d’agire secondo logiche che precedentemente venivano influenzate da esiti processuali incerti sui quali gravava spesso e volentieri lo spettro della reintegra del lavoratore ingiustamente licenziato. Questa libertà, che molti – i sindacati su tutti – hanno giudicato inammissibile, è però la carta che assieme agli sgravi fiscali per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e per le trasformazioni di contratti a tempo determinato ha consentito di stabilizzare migliaia di persone dal destino incerto e di far prendere una boccata d’aria ad un mondo del lavoro in grande sofferenza. Non basta, è vero, stabilizzare non significa creare nuova occupazione. Ma in un panorama nazionale dove non solo non vengono creati nuovi posti di lavoro ma addirittura si perdono quelli che già esistevano, la stabilizzazione dei precari va colta come un segnale più che positivo. 

LA RIVOLUZIONE

… “in effetti il prezzo del barile è diminuito tanto, senza tralasciare la questione immigrazione”

Carlo finisce di parlare e porta la forchetta alla bocca. Lo sguardo corrucciato si distende col sapore dei sardoncini. La sera è illuminata da una luna quasi irreale e il vociare nel ristorante è fitto.

… “anche a me la questione immigrazione preoccupa molto. Già qui la vita è dura per gli italiani, figuriamoci per quei disperati che tentano la lotteria su un barcone. E dove li mettiamo? A casa di Renzi?”

Anche Paolo, finito di parlare, porta la forchetta alla bocca e ingolla un paio di succose mazzancolle.

… “guarda, io non lo so dove andremo a finire” – prosegue Carlo – “col jobs act è vero che si sono stabilizzati parecchi precari, ma non si è mica creata nuova occupazione. Per quella servono le commesse, maggiore apertura verso i mercati esteri, il cuneo fiscale è ancora troppo alto e di certo lo sgravio triennale non basta”

La moglie di Paolo, Sara, ascolta annoiata. Si rivolge all’amica.

… “Marta, ieri sono stata da Prada, c’erano delle cose carinissime in saldo. Ci dobbiamo andare insieme. Ho comprato una borsetta che è un vero amore.”

“Me la devi mostrare assolutamente. Potremmo farci una capatina martedì nel primo pomeriggio, lascio Stefano da mia madre e ti passo a prendere”

Marta si riavvia i capelli con un gesto debole della mano destra e prosegue.

“… quasi dimenticavo di raccontarti quello che mi è capitato. L’altra sera, al supermercato, non mi si avvicina un nero per mettermi a posto il carrello!?! Gli ho detto no, grazie, faccio da sola. E quello insisteva. Ma io dico: la polizia che ci sta a fare? Non controlla? Ho letto su facebook che guadagnano tra i cinquanta e i sessanta euro al giorno coi soli carrelli della spesa. Senza contare l’elemosina. E qui la gente muore di fame, senza lavoro e magari in attesa di una casa popolare che non gli verrà mai data perché gli zingari hanno l’ISEE più basso. Qua ci vuole la rivoluzione.”

Un cameriere brizzolato sorride affabile e sistema con cura sulla tavola già imbandita un vassoio colmo di calamari e anelli di totano fritti. Carlo e Paolo fanno il piatto alle rispettive consorti e la conversazione continua seria e drammatica.

“…l’Europa non vuole risolvere i problemi. Esiste solo per agevolare gli egoismi di alcuni. Dobbiamo uscire dall’Europa e soprattutto dall’euro. Fidati, è l’unica soluzione.”

“… Non so che dirti. Dopo tutto quel che è stato fatto per mettere in piedi questo carrozzone a Bruxelles ora dobbiamo scendere con la coda tra le gambe? Alla faccia di Altiero Spinelli e della costituzione europea! I tedeschi, quelli sì che fanno i loro interessi, impongono le loro scelte e speculano sul debito greco. Chiamali scemi.”

“…la Merkel sa il fatto suo, sarà pure una vecchia culona, come dice Berlusconi, ma intanto noi italiani emigriamo a Monaco in cerca di fortuna mentre i tedeschi vengono in Italia a farsi le vacanze. Perché lì il sistema funziona. Prova ad evadere il fisco ad Ausburg, vedi che ti fa la vecchia culona”.

Andrea, per un quarto d’ora buono, se ne resta in silenzio ad ascoltare i discorsi degli amici. Decide poi di dire la sua.

“… ragazzi, io non lo so se è giusto o meno uscire dall’Europa. Non so come risolvere il problema dell’immigrazione e neppure se in Germania si campa meglio. So solo che continuiamo a lamentarci per una situazione senza cercare di cambiarla. E lo facciamo in un ristorante di pesce, per giunta, di ritorno dalle ferie e con un’abbronzatura invidiabile. Scusate se mi permetto, ma qui la crisi non sappiamo ancora cosa sia, non si fanno le rivoluzioni con la pancia piena. E’ vero che siamo in declino, ma un declino lento, che rifiutiamo di accettare. Per pigrizia, aggiungo, perché se le parole non costano sacrificio, trovare soluzioni sì.”

Alle parole di Andrea annuiscono tutti in modo solenne. Come se per un attimo, un attimo fugace, la patina di opulenza che avvolge le coscienza generale, fosse stata squarciata da una verità cruda e sgradevole. Ci pensa il cameriere a ricondurre il gruppo alla serenità perduta:

“…dolci?”

Dopo il sorbetto al limone ed un caffè corretto all’anice, Andrea si congeda dalla simpatica combriccola per riprendere la via di casa. In macchina le note di Miles Davis lo cullano in una profonda riflessione. Gli italiani hanno imboccato il viale del tramonto da tempo, campano sull’effimero splendore di un passato che non esiste più, si rifiutano di accettare il cambiamento, continuano con gli aperitivi a quarant’anni e la sola cosa che potrebbe indurli ad una presa di coscienza è la chiusura del campionato di calcio di serie A. Un’utopia senza possibilità d’appello. Andrea parcheggia l’auto, entra in casa, si spoglia e si corica rapidamente. La notte, nel letto, si sente nudo di fronte ai propri timori. Angosciato. Infine si addormenta. In bocca ha ancora il sapore del mare.

SEI SU FACEBOOK?

A distanza di più di dieci anni dall’avvento di Facebook, mi chiedo se i social network abbiano migliorato oppure peggiorato le nostre esistenze. In effetti una risposta non me la so dare. Vado a giorni alterni, così come le targhe nei comuni trafficati. Di sicuro questa vetrina telematica ha dato a tutti un pulpito dal quale fare proseliti, elargire anatemi e sfogarsi col mondo intero. Lanciando critiche spesso diffamatorie alla generalità delle persone, col vero destinatario ignaro di tutto o magari consapevole nel proprio IO, colpito da un sasso scagliato da una mano vile. Di bello ci sono le “amicizie” nate per affinità, anime che si ritrovano in uno stesso pensiero, in un’identica passione o forse nella solidarietà scaturita dalla condivisione di un medesimo problema. Si nasce soli e si muore soli, in tal senso i social network rappresentano manna dal cielo, in primis per i sensibili che, feriti nel quotidiano, urlano il loro dolore su un muro di bit. In secundis per gli esibizionisti, che ci rendono edotti dei loro bagni di casa e delle loro abitudini alimentari, con la colazione che la fa da padrone sui meno quotati pranzo e cena. Da ultimo per gli aspiranti politici, prodighi nel commentare notizie riprese dai quotidiani nazionali con rabbia ed indignazione popolare, incontrando spesso il consenso di tanti grazia ad ovvietà e demagogia da terza elementare. Di certo c’è che il tanto blasonato caffè con l’amico vero continuiamo ancora a prenderlo. Sbirciando però, ogni cinque o dieci minuti, il nostro fedele compagno di vita, smartphone o tablet che sia. Taglio corto e scendo dal pulpito, con la ragionevole certezza che se qualcuno domanda “Sei su Facebook?”, meglio rispondere “Forse”, come agli inviti agli eventi, se ci vuoi andare bene, sennò continua pure a farti i cazzi tuoi, la prossima volta t’inviteranno ad andare a fare in culo. Il risultato sperato.

01/05/2015

E’ cambiato tanto, il mondo del lavoro, così tanto che definirlo una festa pare un ossimoro. Che c’è da festeggiare? Oggi la frase, “Caro/a, vado al lavoro”, dovrebbe essere sostituita da “Caro/a, scendo in trincea”. Dobbiamo adeguarci all’assenza di posto fisso, dice chi il posto fisso ce l’ha; dobbiamo accettare lavori a partita IVA senza fisso, dice chi prende il fisso assieme alle provvigioni; dobbiamo rinnegare lo statuto dei lavoratori, accettando il fatto che certi diritti non esistono più, per noi. Per altri esistono ancora. Perché in questa lotta tra poveri, dove tra i poveri ricomprendo pure gli imprenditori di piccole e medie imprese, che si barcamenano con l’indicibile peso sul groppone di un cuneo fiscale esorbitante, a fare buon viso a cattiva sorte sono solo quei pochi che la sorte ce l’hanno ancora buona. Ancorati a diritti acquisiti, privilegi atavici e a tutta una serie di normative che salvaguardano la casta e che non hanno alcuna ragion d’essere se non quella di allargare la forbice sociale. Tra questi ci sono certamente certi sindacalisti, che diventano paonazzi nei palcoscenici di mezza Italia, gridando alla scandalo. Ergendosi a paladini della classe operaia, di cui peraltro a pochi importa, quando nella realtà dei fatti camminano a braccetto con la politica. Dunque godiamoci pure questa giornata di sole, magari al concertone romano, tra ragazzetti e giovanotti che nulla sanno di questo mondo del lavoro, che cantano uniti per un giorno per il mero gusto di cazzeggiare. Tanto, poi, ognun per sé e Dio per tutti. Mors tua, vita mea. Ci sono ancora babbo e mamma a foraggiare. Ancora per poco. Perché tra esodati che vorrebbero uscire, e disperati che vorrebbero entrare, resta solo la terra di mezzo. Di quelli che dall’INPS, tra venti o trent’anni, riceveranno solo una cartolina d’auguri con su scritto “ATTACCATI AL CAZZO”. Buon I Maggio.

IL MONDO DEL DOPO

Hanno sparato in Tribunale. E’ morto il giudice, è morto l’avvocato, è morto pure il coimputato. E tutti a chiedersi: “Come avrà fatto l’assassino ad entrare con una pistola nella casa della giustizia?”. Ve lo spiego io. I controlli, in Tribunale, sono pressoché inesistenti. Per esperienza personale ricordo due ingressi, quello riservato agli addetti del settore (magistrati ed avvocati) e quello riservato a tutti gli altri che è dotato di metal detector. Ora, se io entro dall’ingresso riservato agli esperti del diritto, e sono un pincopallo qualsiasi, nessuno mi chiede nulla. A maggior ragione se entro con una bella borsa in pelle, noto accessorio di cui ogni professionista è munito. Alla guardia giurata che dovrebbe controllare non sfiora neanche lontanamente l’idea di fermare pincopallo per chiedergli i il tesserino di riconoscimento . Quindi, pincopallo, è libero di ammazzare chi meglio crede. Un magistrato, un avvocato oppure un coimputato. Come nel caso di specie. Non è la prima volta che qualcuno introduce un’arma da fuoco in un Tribunale. Non è mai cambiato nulla, se non nelle immediate vicinanze temporali del fatto. Perché il mondo è fatto così, interviene dopo le tragedie, per poi dimenticare non appena si spengono i riflettori mediatici. L’aereo della Germanwings caduto pochi giorni fa causando la morte di più di cento persone è un altro triste esempio dell’incuria sociale. Sono depresso, faccio il pilota, mi chiudo nella cabina di comando senza che nessun altro possa entrare e decido di uccidermi in compagnia. E il mondo grida: “Come ha fatto un depresso a superare le selezioni per diventare pilota?”, ancora, “Perché è restato solo nella cabina di comando?”, infine, “Perché la porta è rimasta bloccata? Caro mondo, le tue domande sono tardive, poniteli prima certi interrogativi. Prima, però, non frega un cazzo a nessuno. Fino alla prossima tragedia.

In questa domenica di lacrime di pioggia, che pare fare il verso al principio di primavera, ho impiegato ottimamente il mio tempo nell’ultimare la lettura del libro verità dello scrittore laziale Alessandro Vizzino dal titolo “TRINACRIME”, storia di un pentito di mafia. Il romanzo narra la storia di Tonio Sgreda (nome di fantasia) alias ‘u scarparu, poiché figlio di calzolaio, che da piccolo delinquente diventa uomo d’onore della famiglia malavitosa Purtaventi – Santimarra. La vita di Sgreda è l’ascesa nella gerarchia di Cosa Nostra di un guappo di umili origini, che campa di rapine, estorsioni et financo omicidi di c.d. lupara bianca. Ma ad ogni ascesa illecita corrisponde quasi sempre una rovinosa caduta nel baratro di una ritrovata coscienza, che culmina con l’incarcerazione di Sgreda e col suo conseguente pentimento. Mi colpisce della scrittura del Vizzino la sua ecletticità, il suo sapersi rinnovare, con opere di carattere diverso. Dello stesso autore ricordo infatti il thriller futurista “Sin” ed il poliziesco a sfondo storico “La culla di Giuda”, certamente romanzi dalle tinte diverse rispetto a “Trinacrime”, ma egualmente accattivanti e certamente meritevoli dell’attenzione dell’opinione pubblica. Bene l’idea di contrapporre in quest’ultimo libro l’anima di un ex magistrato e quella di un pentito di mafia, bene inoltre i richiami storici che ripercorrono gli anni di piombo, la politica stragista di Cosa Nostra e la crisi della Prima Repubblica. Dolorosi i passaggi che ricordano i tanti omicidi per mano mafiosa degli eroi di Stato tra i quali spiccano per efferata crudeltà quelli dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Utili a rispolverare la memoria italiana poi le parole spese per la strage di Ustica, per il rapimento di Aldo Moro e per la strage della stazione di Bologna. Un tuffo nel de profundis dell’Italia peggiore, ferite mai rimarginate, sulle quali una giustizia sommaria e spesso contraddittoria continua ancora oggi a spargere sale. Un plauso infine al seguente periodo letterario che mi trova in pieno accordo: “Cosa nostra morirà soltanto quando tutti noi, da italiani e da esseri umani, sapremo scacciarla dalle nostre menti, da distorte abitudini, da un’ancestrale cultura, consci che un pezzo di Cosa nostra, in un modo o nell’altro, è purtroppo dentro ognuno di noi”. Lettura vivamente consigliata.

RIFLESSIONE DELLA DOMENICA

E’ di oggi la notizia di una trentina di piloti Alitalia che percepivano illegittimamente la cassa integrazione per migliaia di euro, a fronte di un lauto stipendio in qualità di dipendenti di compagnie aeree estere. E come sempre si grida allo scandalo, giustamente, per la commissione di una truffa aggravata ai danni dello Stato che tanto è in voga in questi mesi sui media nazionali. Il problema è il dopo. Cosa succede una volta che su questi personaggi si spengono i riflettori? Verrà fatta giustizia oppure tutto continuerà a funzionare esattamente come prima perché nessuno ha davvero intenzione di cambiare le cose come osserverebbe Tomasi di Lampedusa? Assistiamo appunto a truffe, a cumuli di vitalizi, a pensioni d’oro e quant’altro e poi, quando vediamo milioni di anziani campare con la minima e rovistare tra i bidoni dell’immondizia per sfamarsi, non facciamo nulla!?! E questa sarebbe l’Italia!?! A me questo sistema omertoso che avalla certe condotte delittuose ritenendole consuetudine, come se rubare fosse lecito, fa accapponare la pelle. Mi rendo quindi conto che piuttosto che punire il singolo bisognerebbe scardinare la prassi, partendo dall’apice, dal tacito consenso di dirigenti e politici corrotti fagocitati dal “Tanto funziona così”, da quelli che hanno scelto di vendere la propria integrità per giungere ad uno status quo di privilegiati. Parole al vento le mie, mera utopia, che però mi fa stare apposto con me stesso. Io all’esame di coscienza scelgo di essere presente, perché al mattino voglio guardarmi allo specchio con orgoglio, non mi sveglio con lo scopo precipuo di fottere il prossimo come tanti. Nella pubblica amministrazione – l’ultimo triste esempio è quello dei vigili di Roma – assistiamo quotidianamente ad assenze ingiustificate, a cartellini timbrati da una stessa persona a vantaggio di tanti, al blocco del lavoro per far scattare gli straordinari e chi più ne ha più ne metta. Chi decide di non vendersi viene emarginato oppure finisce a fare il lavoro, oltre al proprio, di quelli che si sono venduti, perché avviliti o redarguiti da superiori che intimano << Ma tu chi ti credi di essere? Piano col lavoro, vorrai mica mettere in cattiva luce l’ufficio? >>. Ci si adegua alle regole non scritte, in barba alla giustizia, al codice penale e alla morale; perché tanto non si licenzia quasi mai nessuno, al massimo si viene trasferiti ad altre mansioni, in altro reparto e con lo stesso stipendio. Nel privato questo non può accadere semplicemente perché la saccoccia è di uno o più imprenditori, non si pesca nel portafoglio di un mare di contribuenti, gli imprenditori ai conti stanno attenti, soprattutto in un’epoca dove fare impresa pare tanto simile al martirio. Con lo Stato è facile giocare allo scarica barile, è colpa di quello, di quell’altro, della destra, della sinistra, del centro e alla fine si conclude tutto a tarallucci e vino. Con l’archiviazione delle indagini o magari con la prescrizione. Così è se vi pare.

Non riusciamo a cambiare il sistema semplicemente perché il nostro desiderio non è, appunto, cambiarlo; bensì riuscire a farne parte e godere così dei suoi benefici. Non c’è merito alcuno nell’essere nati in un posto piuttosto che in un altro, sono semplicemente le carte che ci ha dato il destino e con quelle ci tocca giocare, sia che si tratti di una coppia di jack sia che si tratti d’un poker d’assi. Ai poveri cristi, che sono la maggior parte su questa Terra, non resta da far altro che bluffare, oppure crepare, ma comprenderete bene che la seconda di queste due alternative non è molto allettante. E allora bluffano, infrangono le leggi, per disperazione. Fuggono da Paesi dimenticati da Dio, fuggono dalla morte, con il rischio di ritrovarla in mezzo al mare. Ma un lumino di speranza, per quanto fioco, è pur sempre meglio della certezza della fine. I poveri cristi vogliono passare dal cerchio azzurro a quello nero, per entrare a far parte di quelli che comunque campano, male ma campano; e campare è un lusso per milioni di persone. Ogni tanto qualcuno ce la fa, non viene espulso, s’imbatte nell’eccezione alla regola, un buon samaritano che gli dà una mano e lo regolarizza. Campa. Campa e si dimentica dei poveri cristi di cui faceva parte, ora è una goccia di una classe media che non esiste più, fanculo i poveri cristi. La classe media che non esiste più, dal canto suo, non vuole certo i poveri cristi tra le palle. Li scansa in malo modo, appellandoli con epiteti xenofobi per difendere quel poco che gli rimane, un lavoro mal pagato, una pensione minima o magari una casa popolare, perdendo così quel tanto che aveva, l’anima. I veri beneficiari di tutto ciò, sono infine i privilegiati, quelli che fanno parte di un cerchio più piccolo rispetto a quello della classe media che non esiste più, che a sua volta fa parte di un cerchio più piccolo rispetto a quello di cui fanno parte i poveri cristi. I privilegiati vengono dileggiati dalla classe media che non esiste più, vengono tacciati di comportamenti scorretti, immorali e disdicevoli; fino a quando qualcuno s’imbatte nell’eccezione alla regola, un buon samaritano che gli dà una mano e lo fa entrare per chiamata diretta nel cerchio bianco. A quel punto quel qualcuno non è più membro della classe media che non esiste più, è divenuto privilegiato, fanculo quindi la classe media che non esiste più. I privilegiati non sono più corrotti, arrivisti, cinici, ipocriti ed egoisti; ora sono onesti, generosi, buoni, veri e solidali. E la storia si ripete, nei secoli dei secoli, ampliando la forbice della disuguaglianza sociale a Catturavantaggio di pochi, che magari erano stati, tempo addietro, dei poveri cristi.

THE DAY AFTER THE FESTE

Il giorno dopo questa prima tornata di feste è tutto un lazzaretto. Scene apocalittiche si alternano in un concerto di starnuti e cavernosi rumori intestinali. Ci si sente al telefono quasi per consolarsi vicendevolmente:

<< Come stai? >>
<< Più di là che di qua. A pranzo brodino e mela verde >>
<< Io invece digiuno, al massimo un bicchiere di acqua tiepida e un bel pasticcone di semi al pompelmo >>

E così gli zombie di Natale e Santo Stefano girovagano per casa col pigiamone in pile, avvolti nella trapunta rimediata coi punti della Bofrost, a forza di patate novelle e zuppe di farro congelate. Desiderosi di recuperare in vista del cenone di capodanno. Perché in Italia, se non mangi lenticchie con salsiccia e zampone, lasagne rosse e vegetariane, tortelli in brodo, polpettone della nonna, arrosto misto, verdure grigliate, frutta, frutta secca, caffé, ammazzacaffé, torrone, panettone e pandoro; beh, se non mangi tutto questo, non sei proprio un cazzo di nessuno. Etciù!

UNA MODA TRISTE

Dopo le nomination alcoliche, quelle sull’infanzia e quelle letterarie; eccoci infine giunti alle secchiate d’acqua gelata. Ora, se la causa è certamente giusta, la mia sensazione è che qui in Italia sia stata snaturata dalle manie di protagonismo. Si sta infatti diffondendo la notizia che malgrado i numerosi video di personaggi noti e meno noti che si sottopongono appunto alla famosa secchiata, le donazioni per combattere la SLA stentano a decollare. Ad essere maliziosi verrebbe quasi da pensare che la cosa viene fatta non tanto per i meno fortunati, quanto a beneficio dell’immagine di se stessi, per racimolare consensi e catturare l’attenzione mediatica. Negli Stati Uniti d’America l’ice bucket challenge ha portato a raccogliere svariati milioni di dollari. E qui da noi? Si parla di un centinaio di migliaia di Euro. Mi pare che la differenza sia di carattere sostanziale. Ricordo non molto tempo fa i malati di SLA incatenati fuori da Montecitorio per protestare contro i tagli ai fondi in loro favore. Abbandonati dallo Stato e costretti a protestare per non subire l’onta del dimenticatoio. Mi chiedo se con la fine di quest’ennesima moda sulla SLA non calerà nuovamente il sipario della solitudine. Mi chiedo pure se la secchiata di Belen Rodriguez sarà servita a qualcosa, così come quella di Checco Zalone e quelle di gente comune che iniziano a riempire i social network come le pecore riempiono un recinto di montagna. Sarebbe bello se assieme al video condivideste anche il CRO del bonifico bancario in favore dell’AISLA . Eccovi i dati per effettuare la donazione:

BANCO POPOLARE c/c intestato: A.I.S.L.A. Onlus
Codice IBAN: IT 04 V 05034 10100 000000001065
*****************************************

Conto Corrente Postale
c/c: 17464280
intestato: A.I.S.L.A. Onlus

Mi piacerebbe immensamente essere smentito e constatare quindi l’infinita generosità dei nostri politici (abilissimi nell’utilizzare i soldi dei contribuenti per questioni personali), dei nostri calciatori (che alzarono una levata di scudi per contrastare l’idea di una patrimoniale sugli stipendi d’oro) e delle nostre star (che quando c’è da apparire sgomitano come liceali in ricreazione di fronte al paninaro convenzionato).