A distanza di più di dieci anni dall’avvento di Facebook, mi chiedo se i social network abbiano migliorato oppure peggiorato le nostre esistenze. In effetti una risposta non me la so dare. Vado a giorni alterni, così come le targhe nei comuni trafficati. Di sicuro questa vetrina telematica ha dato a tutti un pulpito dal quale fare proseliti, elargire anatemi e sfogarsi col mondo intero. Lanciando critiche spesso diffamatorie alla generalità delle persone, col vero destinatario ignaro di tutto o magari consapevole nel proprio IO, colpito da un sasso scagliato da una mano vile. Di bello ci sono le “amicizie” nate per affinità, anime che si ritrovano in uno stesso pensiero, in un’identica passione o forse nella solidarietà scaturita dalla condivisione di un medesimo problema. Si nasce soli e si muore soli, in tal senso i social network rappresentano manna dal cielo, in primis per i sensibili che, feriti nel quotidiano, urlano il loro dolore su un muro di bit. In secundis per gli esibizionisti, che ci rendono edotti dei loro bagni di casa e delle loro abitudini alimentari, con la colazione che la fa da padrone sui meno quotati pranzo e cena. Da ultimo per gli aspiranti politici, prodighi nel commentare notizie riprese dai quotidiani nazionali con rabbia ed indignazione popolare, incontrando spesso il consenso di tanti grazia ad ovvietà e demagogia da terza elementare. Di certo c’è che il tanto blasonato caffè con l’amico vero continuiamo ancora a prenderlo. Sbirciando però, ogni cinque o dieci minuti, il nostro fedele compagno di vita, smartphone o tablet che sia. Taglio corto e scendo dal pulpito, con la ragionevole certezza che se qualcuno domanda “Sei su Facebook?”, meglio rispondere “Forse”, come agli inviti agli eventi, se ci vuoi andare bene, sennò continua pure a farti i cazzi tuoi, la prossima volta t’inviteranno ad andare a fare in culo. Il risultato sperato.